FalceMartello
n° 173 * 12-02-2004
Imparare dalla lotta degli autoferrotranvieri
Cgil-Cisl-Uil hanno sciolto la
riserva sull’ipotesi di accordo sottoscritta il 20 dicembre sul rinnovo del
biennio economico per gli autoferrotranvieri. Dopo la più grande lotta dei
lavoratori del settore del trasporto pubblico locale degli ultimi 20 anni, il
vertice sindacale ha svenduto la mobilitazione e lasciato i lavoratori a se
stessi, senza che ci sia stata una risposta da parte del movimento di lotta
paragonabile a quella del mese precedente. Come è stato possibile il recupero
dei sindacati confederali?
di Fortunato Lania (Atm Milano)
Vuoto di direzione
Nel corso dei mesi di dicembre e gennaio, era
evidente a tutti come l’autorità dei dirigenti sindacali avesse toccato un
punto mai così basso. In diversi depositi i delegati sindacali che non
sostenevano la mobilitazione, particolarmente della Cisl, sono stati
giustamente allontanati per il ruolo nefasto che hanno tentato di giocare sin
dallo sciopero del 1° dicembre. Il completo distacco tra direzione sindacale e
lavoratori è stato evidente al momento della firma dell’Ipotesi di accordo:
Epifani, Pezzotta ed Angeletti pensavano che i lavoratori “avrebbero capito” ed
avrebbero ripreso il servizio il giorno successivo, ma la mobilitazione non
solo è continuata ma si è estesa a molte altre città.
Anche lo sciopero del 9 gennaio proclamato dai
sindacati di base, ha visto una adesione ben più ampia delle forze che
tradizionalmente vi fanno riferimento
(Sult-Tpl, Sin.Cobas, Fltu-Cub, Slai Cobas, RdB-Cub Trasporti, Conf.
Cobas) con punte di adesione oltre il 90% in diverse città (Bologna, Treviso,
Brescia, Venezia, ecc.).
Si è manifestato, nel corso di tutta la
mobilitazione, un vuoto di direzione evidente che nessuno è stato in grado di
colmare pienamente. Il malessere e la rabbia dei lavoratori, che ha trovato nel
rinnovo del biennio economico la possibilità di emergere, ha travolto tutte le
organizzazioni sindacali: la lotta ha rotto tutti gli argini costruiti dalla politica
della concertazione, ha superato le indicazioni del sindacato, sconfessato le
burocrazie sindacali, e colto di sorpresa anche i sindacati di base.
In ogni deposito, a Milano come in altre città, ci
sono stati diversi “capipopolo” iscritti ai Cobas o altri sindacati di base, ma
spesso non iscritti ad alcun sindacato o iscritti ai sindacati confederali
stessi. In alcune città, anche organizzazioni come la Faisa-Cisal
(ufficialmente “apolitica”) hanno potuto giocare un ruolo, seppur marginale,
nelle mobilitazioni. Un elemento che ha caratterizzato gli scioperi è stato
certamente la spontaneità che, sebbene sia stato decisivo nella prima fase per
superare le indicazioni della burocrazia sindacale, ha messo in luce la
mancanza di un vero coordinamento della lotta, eletto democraticamente in ogni
deposito e che puntasse ad un coordinamento prima locale e successivamente
nazionale sulla base delle migliori tradizioni del movimento operaio: tutti
elettori, tutti eleggibili, delegati revocabili in qualsiasi momento
dall’istanza che li ha eletti, nessun posto garantito per nessun sindacato o
componente sindacale.
Con un coordinamento che fosse realmente
l’espressione della volontà dei lavoratori avremmo potuto tutelarci al meglio
dalle voci e dalle notizie false fatte girare ad arte dalla burocrazia
sindacale, o dalle aziende stesse, che avevano l’obiettivo di fiaccare la
resistenza dei lavoratori e creare frustrazione tra le nostre fila. Inoltre,
avremmo potuto discutere francamente di quale strategia il movimento dei
lavoratori dovesse dotarsi per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Il ruolo della burocrazia
sindacale
Nonostante il movimento abbia scalzato i vertici
sindacali dalla direzione della lotta, ha commesso un errore chi pensava che il
sindacato confederale avesse completamente perso ogni possibilità di giocare
ancora un ruolo nel corso della mobilitazione stessa. In realtà i vertici
sindacali non sono stati a guardare e, dopo la firma dell’Ipotesi di accordo
del 20 dicembre, hanno intrapreso trattative con aziende ed istituzioni per
firmare accordi locali in diverse città: Milano, Torino, Parma, Roma, ecc.
Quasi tutti gli accordi firmati (almeno una ventina) monetizzando un aumento di
produttività a vantaggio delle aziende, ossia, scambiano un aumento di salario
con il peggioramento delle condizioni di lavoro.
Si è trattato per lo più di aumenti minimi e, come
detto, non senza contropartita, ma che hanno raggiunto l’effetto desiderato di
dividere la categoria e la lotta su base locale, facendo leva sulla inevitabile
stanchezza (dopo due mesi di lotta) e sulla mancanza di una organizzazione e di
una strategia alternativa che fosse capace di reggere la prospettiva della
continuazione della mobilitazione. Aziende, istituzioni e sindacati (in alcuni
casi non solo confederali) hanno in questo modo raggiunto l’obiettivo di
indebolire la mobilitazione nazionale, esponendo i lavoratori al ricatto di
perdere gli aumenti ottenuti localmente se l’accordo nazionale fosse stato
rimesso in discussione.
L’insieme di questi elementi ha reso possibile
l’arretramento della mobilitazione, fotografato dalla minore azione allo
sciopero del 30 gennaio rispetto ai precedenti. Tuttavia questo sciopero ha
testimoniato la volontà di una parte significativa della categoria di esprimere
il proprio disappunto sull’accordo nazionale sottoscritto nonostante a Milano,
ed in una decina di altre città, si sia cercato in tutti i modi di farlo
fallire.
L’illusione referendaria
Molti a sinistra, a cominciare dalla sinistra della
Cgil, ma anche diversi esponenti dei sindacati di base, si sono spesi nella
richiesta di un referendum vincolante sull’ipotesi di accordo tra i lavoratori.
Abbiamo sempre difeso e continueremo a difendere in futuro ogni proposta che
possa far esprimere ed emergere chiaramente la volontà dei lavoratori.
Tuttavia, nelle condizioni date era evidente che non c’era alcuna volontà di
organizzare un vero referendum tra i lavoratori.
Infatti, poiché la mobilitazione ha completamente
sconfessato i vertici, sarebbe stato per la burocrazia sindacale come tirarsi
una zappa sui piedi… e non è certo da dirigenti di questa pasta che possiamo
aspettarci gesti di questo tipo, che avrebbero potuto solo sancire la loro
completa bancarotta su tutta la vertenza. Cisl e Uil si sono completamente
defilate dall’idea e solo la Cgil ha tenuto un referendum confinandolo però
solo ai propri iscritti.
La modalità di svolgimento della mobilitazione ha
ostacolato la partecipazione al voto dei conducenti, poiché non sono stati
pochi i casi in cui le urne si sono tenute aperte solo alcune ore,
privilegiando la partecipazione al voto di operai ed impiegati, meno coinvolti
dalla mobilitazione. Inoltre, il quesito è stato scritto per pilotare la
risposta e rendere scontata la vittoria del SI.
Il quesito citava “Approvi la decisione di chiudere il secondo biennio contrattuale, nelle
condizioni date, di avviare il confronto con il governo sullo stato del settore
del trasporto pubblico locale e di presentare la piattaforma per il prossimo
contratto che tenga conto delle insufficienze registrate con la sigla del 20
dicembre?”, come dire: è vero che non volete che vi tolgano anche gli 81
euro che siete riusciti a strappare e che volete più soldi? Non c’è dubbio, un
bell’esempio di democrazia! Non stupisce che al voto abbia partecipato il 74%
degli iscritti e che il SI abbia ottenuto il 71% dei consensi. Al contrario,
nell’unica città dove ci risulta ci sia stato un referendum unitario
sull’intesa, a Reggio Emilia, il contratto è stato respinto dal 67% dei
lavoratori!
Tutto finito?
Nonostante non siano stati raggiunti gli obiettivi
iniziali, la lotta non si è chiusa con una sconfitta. Una mobilitazione non
deve essere giudicata soltanto per i risultati che raggiunge, ma anche per il
livello di coscienza che esprime, per i passi in avanti che comporta nella
comprensione politica della classe operaia nel suo complesso. I metodi di lotta
utilizzati rappresentano un salto qualitativo rispetto agli scioperi puramente
dimostrativi cui ci aveva abituato il vertice sindacale. Se non fosse stato per
noi lavoratori, che abbiamo rilanciato la mobilitazione prendendola nelle
nostre mani, non avremmo ottenuto nemmeno il rinnovo del biennio economico.
La battaglia più grande che ora dobbiamo vincere, è
la costruzione di una alternativa agli attuali dirigenti del movimento operaio.
È mancata nel corso della lotta una corrente realmente di classe, che potesse
mettere in contraddizione la politica nefasta seguita dai vertici della Cgil
con le reali esigenze dei lavoratori.
Ci auguriamo che la mobilitazione possa servire da
stimolo all’impegno ed alla militanza per sviluppare questa prospettiva,
l’unica capace di evitare che la inevitabile prossima mobilitazione finisca su
un binario morto.